sabato 15 gennaio 2011

NE’ MARCHIONNE, NE’ CGIL.


In un recente quanto telegrafico commento sul blog del Centro Studi mi sono permesso di indicare un indirizzo di principio su cui d’ora in avanti dovremmo seriamente riflettere. Si tratta dell’approccio alle nuove ed ultime conseguenze della destrutturazione del lavoro come lo avevamo conosciuto fino ad ora, di cui il caso Fiat-Marchionne di queste settimane è il tipico emblema.
Nel ribadire quanto più volte emerso nelle nostre prese di posizione in materia di lavoro, che richiamano principi di fondo sui quali non saremo mai disposti a contrattare, pare altresì opportuno sgombrare il campo da eventuali valutazioni che non devono e non possono assolutamente essere nostre.
Per essere molto chiari, intendo dire che non dobbiamo cedere mai e poi mai alla tentazione di essere pro o contro qualcuno dei due contendenti della vertenza Fiat, ormai definitia con quella sorta di referendum che ha sancito (con pochi voti di scarto a dire la verita) la vittoria della linea padronale. Chi come noi ha alle spalle una dottrina di riferimento ben precisa non può non dire: ne’ con Marchionne, ne’ con gli anti Marchionne ! E le ragioni di questa nostra valutazione di principio si fondano su due assunti.
Il primo è che i “nipotini” di coloro che nel lontano (ma non per noi) 1945 appesero per i piedi l’Uomo che più di tutti aveva concretamente tutelato il mondo operaio, sono proprio gli stessi che oggi, trincerandosi dietro un sindacalismo di casta che ancora scambia i padroni con i fascisti , vogliono riconosciuti diritti che in Italia videro la luce per la prima volta proprio grazie all’impegno di colui che pochi anni dopo sarebbe stato orrendamente martirizzato dal tanto osannato mondo partigiano che – non lo si dimentichi – venne finanziato e da potenze straniere ed anche dalle principali famiglie industriali del Nord quali i Falck, gli Agnelli e i Pirelli, tanto per fare i nomi più importanti.
Il secondo motivo sta nel fatto che la lotta per i diritti del mondo del lavoro,che in altri e meno bui tempi furono sanciti per legge da uno Stato che poi ne controllava l’applicazione attraverso sindacati nazionali e non di casta, non può fare i conti con forme di ricatto cui la Fiat ha ormai abituato l’intera Nazione da più di 60 anni. E’ ora di porre un freno a questo sudicio metodo ricattatorio che ha permesso ad una multinazionale privata di socializzare costi e perdite e privatizzare gli utili senza che ci fosse mai stato un governo di questa misera repubblichetta con il coraggio e la forza di dire: ORA BASTA !
Questo BASTA qualcuno lo deve dire, senza se e senza ma! Ma chi può farlo? Certamente non chi ha bisogno di un salario per poter mangiare e, forse, sarebbe troppo pretenderlo. Ma potrebbe – e dovrebbe - farlo un governo serio di uno Stato serio che, tra le altre cose, dovrebbe pure ricordarsi che uno degli articoli della sua Costituzione (il 43) ha in nuce un principio a noi caro che mai nessuno si è preoccupato di attuare. Forse partendo da quella base, avendo politici e governanti diversi dai masnadieri di oggi, le cose sarebbero diverse. Ma all’orizzonte ci sono solo le tenebre di un turbo capitalismo finanziario senza patria, votato a spremere tutto ciò che ha per le mani
Sono queste le ragioni che ci incoraggiano a proseguire verso la strada di un nuovo Umanesimo del Lavoro che metta l’Uomo al centro dei processi di produzione e la Nazione al centro dei doveri degli attori sociali. Sono queste ragioni che ci spingono a lanciare uno slogan che dice tutto di noi e del nostro progetto: NE’ MARCHIONNE, NE’ CGIL !!

Fernando Volpi