venerdì 7 maggio 2010

Economia



 
Per dare seguito anche ad una sollecitazione giuntaci dai nostri lettori pubblichiamo un post con la parte conclusiva di un documento di analisi (che abbiamo nella sua forma compiuta) del prof. Manlio Sargenti, eminente giurista e cattedratico di Diritto romano all’Università di Pavia, Capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia corporativa della R.S.I. stretto collaboratore del Ministro Tarchi. 
Il documento completo ha la seguente bibliografia per interesse di chi vuole approfondire:
-Sargenti a fianco di Tarchi, Ministro R.S..I. 
-La politica economica della R.S.I., lezione tenuta il 6 settembre 1998 nel corso del Seminario di studi storici di Cicogna.
-I 70 anni della Carta del Lavoro, articolo edito in LINEA, n.ri. 6-7-8, Giugno-Luglio-Agosto 1997.
-Socializzazione o Socialismo?, articolo pubblicato nel numero 3-4 della rivista Repubblica Sociale, novembre-dicembre 1944, XXIII E.F. 


Ci rendiamo conto che, nell’attuale struttura sociale, la plutocrazia capitalistica userà di tutti i suoi mezzi per contrastare la creazione di un ordine sociale fondato sui diritti del lavoro, e che questo ordine, come ogni altra conquista umana, non potrà che scaturire dal contrasto e dalla lotta. Ma questa non è lotta di classe, per noi, che non possiamo identificare il mondo del lavoro in una classe, materialisticamente concepita e individuata, e lo concepiamo, al contrario, come la manifestazione più completa della personalità umana nella sua attività produttiva; per cui lavoratore è e deve essere ogni membro della collettività, e la qualifica di lavoratore non riveste alcun carattere classista.

Né, d’altra parte, la lotta anti-capitalista può risolversi, secondo i postulati comunisti, nel predominio della classe lavoratrice, sia perché tale assunto appare contraddittorio alla luce dello stesso postulato della lotta di classe, la quale, se è concepita come lo è dal marxismo quale giustificazione e molla della storia umana, non può, d’un tratto, miracolosamente annullarsi e perdersi senza che la stessa storia dell’umanità giunga ad una
immobilità definitiva; per cui lo Stato comunista si presenta come un mito irrealizzabile sul piano umano, come il paradiso terrestre a cui l’umanità potrebbe giungere solo per conchiudere in una perfetta beatitudine il ciclo della sua vita e della sua lotta; e sia perché, come si è detto, il lavoro non è il denominatore di una classe, ma è l’attributo di tutta la collettività umana.

Lo Stato del lavoro è, perciò, nel nostro pensiero, lo Stato di tutti i lavoratori, del braccio e della mente, senza distinzione, fra questi, di classe e senza alcun attributo classistico, è, insomma, lo Stato corporativo.

Siamo tornati, così a quell’interrogativo dalla cui rievocazione abbiamo preso le mosse, osservando come il problema di oggi se la socializzazione ci immetta sul piano del socialismo non sia che un diverso porsi del problema altra volta dibattuto, se il Fascismo fosse tutto nel corporativismo. E potremmo conchiudere,
attraverso un’argomentazione sillogistica, che la socializzazione è ancora, come tutto il Fascismo, sul piano corporativo.

Socialismo, anche, se ciò piace, ma -come ha detto Mussolini - socialismo “nostro”: socialismo nel senso che dietro la nostra dottrina e la nostra esperienza sta oltre un secolo di elaborazione dottrinale e di esperienza socialista, con la sua radicale critica dei mondo capitalistico e con la sua ricerca di un ordine nuovo, con il suo bagaglio di errori e con la sua visione unilaterale dei problemi e delle possibili soluzioni, ma anche con la sua
fondamentale esigenza di giustizia e con la rivendicazione, a volte drammatica, dei diritti del lavoro.

Noi non possiamo, certamente, ignorare il valore di questa lunga lotta, non lo possiamo per un’esigenza storica, che rende la nostra idea e la nostra azione politica inseparabili dall’idea e dall’azione politica attraverso la quale la esperienza della nostra generazione si è formata e la nostra idea si è precisata ed ha
acquistato concretezza. Ma appunto perché non possiamo non tener conto dello sforzo dottrinale e pratico che ci sta dietro, la nostra dottrina e la nostra azione, non possono non superare quegli elementi del socialismo che alla nostra più matura esperienza ed alla nostra più acuta indagine appaiono
insufficienti e insoddisfacenti.

Nello stesso modo superiamo le nostre stesse impostazioni dottrinali e le nostre esperienze di ieri, perché ci rendiamo conto che la prima fase dei nostro corporativismo è risultata, ad un certo punto, inadeguata a risolvere il problema dei nuovo ordine economico, sociale e politico. Le superiamo, appunto, con la socializzazione che deve dare al corporativismo quella forza realizzatrice che ad esso è mancata nella sua prima attuazione.

Ma, appunto per questo, dobbiamo e possiamo dire che la socializzazione, la nostra socializzazione, costituisce la ripresa, il perfezionamento ed il compimento -per quanto di compimento si possa parlare nelle cose umane -del pensiero e della prassi corporativa.

Alcune tra le più importanti leggi e istituzioni dell’Italia fascista del ventennio


-Tutela lavoro donne e fanciulli (R.D. 653/1923)
-Assistenza ospedaliera per i poveri (R.D. 2841/1923)
-Assicurazione contro la disoccupazione (R.D. 3158/1923)
-Assicurazione invalidità e vecchiaia (R.D. 3184/1923)
-Maternità e infanzia (R.D. 2277/1925)
-Assistenza illegittimi abbandonati o esposti (R.D. 798/1927)
-Assicurazione obbligatoria contro la tbc (R.D. 2055/1927)
-Esenzioni tributarie famiglie numerose (R.D. 1312/1928)
-Assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali (R.D. 928/1929)
-Opera nazionale orfani di guerra (R.D. 1397/1929)
-Inail (R.D. 264/1933)
-Istituzione del libretto di lavoro (r.d. 112/1935)
-Inps (r.d. 1827/1935)
-Riduzione settimana lavorativa a 40 ore (r.d. 1768/1937)
-Eca (r.d. 847/1937)
-Assegni familiari (r.d. 1048/1937)
-Casse rurali e artigiane (r.d. 1706/1937)
-Tessera sanitaria per addetti servizi domestici (r.d. 1239/1929)
-Inam (r.d. 318/1943)