sabato 2 ottobre 2010

TROMBE, TROMBONI E LA DISPERAZIONE DI UN POPOLO.


Saremo forse maghi o più semplicemente conoscitori di come si muove certa politica internazionale ma non si dica che non avevamo previsto quello che puntualmente è successo: il pluriacclamato e pluridecorato Barak Obama ha incassato il primo sonoro schiaffone nel suo vanesio tentativo di portare stabilità tra Israele e Autorità Palestinese. Come avevamo già anticipato in queste pagine il 27 di agosto (35 giorni fa!) la mossa mediatica della Casa Bianca si è risolta in quello che pensavamo, ovvero una studiata azione propagandistica per far risalire la popolarità di quello che sta dimostrandosi il più fantaccino dei presidenti americani della storia. Una mossa che si è puntualmente infranta contro l’intransigenza dei falchi di Tel Aviv  e contro la supponenza di un’entità che si sente al di sopra di ogni regola.
Tra gli ostacoli insormontabili che a nostro avviso si sarebbero frapposti ad una mediazione di così alto lignaggio per una pace (se mai vi sarà in queste condizioni) tra i contendenti avevamo individuato l’ostilità di Nethanyau verso il tipo umano rappresentato da Obama e la questione dell’espansione degli insediamenti ebraici che difficilmente si sarebbe fermata. Guarda caso proprio questo è accaduto.
Nel corso del dibattito che si è tenuto al Palazzo di Vetro negli ultimi giorni di settembre, dibattito che avrebbe dovuto essere il momento più delicato per cercare di abbreviare le distanze tra le parti, peraltro già irrimediabilmente distanti, la delegazione israeliana ha avuto l’ordine da Nethanyau di non presentarsi. Ufficialmente la ragione è stata quella che in quel preciso giorno (ma guarda un po’ il caso !) ricorreva una delle tante giornate in cui ai figli di David è proibito fare qualsiasi cosa. Dunque un nulla di fatto, con i presenti, autentici convitati di pietra di una tragedia che dura da sessanta anni, sempre lì a chiacchierare e a votare documenti che finiranno al macero come le altre scartoffie in cui si richiama inutilmente Israele a determinati impegni.
Ma, per continuare con la casualità degli eventi, di lì a poche ore scadeva anche il termine per la moratoria dell’espansione degli insediamenti ebraici; sarà forse un altro dei tanti casi che beffardamente si prendono gioco delle vicende umane ma all’ora X più un minuto i caterpillar israeliani erano già in movimento per spianare tutto ciò che ostacolava il loro cammino. Allora, se due indizi fanno almeno mezza prova, i tanti tromboni e trombettieri che un mese fa si erano lasciati andare a valutazioni ultraottimistiche, oggi dovrebbero farsi risentire per fare il consuntivo della vicenda e spiegare ai tanti che supinamente ingoiano tutto, come mai le trattative sono praticamente naufragate in porto. E INVECE NIENTE !
Ma noi, che siamo politicamente scorretti, non ci asteniamo proprio per niente. Per quanto ci riguarda le ipotesi sono due, con l’aggiunta di una terza sottoipotesi: o il mediatore deve cambiare mestiere perché oltre agli slogans altro non sa (o non vuole)fare, o una delle parti (e i comportamenti prima ricordati ne rendono chiara l’identità) se ne frega altamente di trattare su questioni che ritiene in fondo non trattabili, salvo dare il contentino al fesso di turno. Oppure in ultima analisi c’è la sottoipotesi , ovvero che sia la prima che la seconda ipotesi siano vere e che il caso le ha messe insieme tutte e due.
A nostro modesto giudizio, che – prevediamo- sarà sostanziato dai fatti prossimi venturi, la sottoipotesi è di gran lunga la più accreditata. Con buona pace degli utili idioti (e sono tanti!) che credono agli asini volanti e con somma disperazione di un popolo costretto a vivere in un lager a cielo aperto, in attesa che i più “giusti” facciano razzia degli ultimi lembi della propria terra e della propria dignità.

FERNANDO VOLPI