tratto da www.noreporter.org
Il 29 aprile 1975, dopo 48 giorni di agonia, moriva a Milano il diciottenne Sergio Ramelli, massacrato da un collettivo di medicina composto da ricchi e viziati neopartigiani; aveva commesso un delitto imperdonabile: aveva affermato di credere nella libertà. L'annuncio della sua morte al termine di una straziante lotta in ospedale venne salutato da uno scroscio di applausi da parte dei consiglieri comunali di Milano, quel giorno in riunione. Uccidere un fascista non solo non era reato ma dava sensazioni forti ai borghesi annoiati e vigliacchi.
Esattamente un anno dopo, il militante del Msi, Enrico Pedenovi, veniva assassinato ad un semaforo, alla guida della sua macchina, da un commando di Prima Linea.
Il giorno seguente all'assassinio di Pedenovi nei pressi del liceo romano Azzarita vidi una scritta fresca sul muro “Il ventinove aprile gagliardetti al vento: è morto un camerata ne nascono altri cento!”
Chi l'aveva prodotta aveva risposto di certo a un impulso di rabbia e di rivalsa che fu indispensabile ma che poi, come difficilmente immaginava allora, si rivelò profetico.
Quella frase fu magica, non solo perché ci aiutò a recuperare i morale e il mordente per affrontare una guerra civile che, pur in netta inferiorità numerica, logistica e di spalleggiamento, riuscimmo a non perdere ma perché era verissima: come avremmo scoperto in seguito proprio in quei giorni nascevano centinaia di camerati e ne sarebbero nati in seguito centinaia e centinaia. Gli assassini invece sarebbero divenuti sempre più sterili.
Sergio ed Enrico, il nostro seme. Eterno!
mercoledì 29 aprile 2009
lunedì 27 aprile 2009
Equiparati a banditi irregolari.........ma andate a quel paese !
In merito alle polemiche attuali ed alle dichiarazioni inopportune anche di Ld attraverso il suo segretario Storace - che non ha alcun titolo a parlare per i Soldati dell’Onore - credo sia opportuno ripostare una dichiarazione ufficiale da parte della rappresentanza maggioritaria dei Combattenti della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (Salò é solo una amena località turistica del lago di Garda !):
RAGGRUPPAMENTO NAZIONALE COMBATTENTI E REDUCI R.S.I. - CONTINUITÀ IDEALE
Soltanto recentemente ho potuto prendere visione di una proposta di legge d’iniziativa di 42 deputati della maggioranza parlamentare, datata 23 giugno 2008, relativa all’istituzione dell’Ordine del Tricolore da «attribuire a coloro che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale». Comprendendovi, tra altri, «coloro che hanno fatto parte delle forze armate partigiane o gappiste … e delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica Sociale Italiana». Tutto questo - si legge nella presentazione - per «riconoscere, con animo ormai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare nella storia d’Italia». Una proposta di legge - si afferma - «coerente con la cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia».
Credo sia riduttivo limitarci a rammentare come in realtà l’evocata «cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia», venga espressa attualmente - e in ripetute occasioni - con un rinnovato e rabbioso ostracismo alle manifestazioni in ricordo dei Caduti della RSI, con annesse offese sacrileghe alle lapidi che ne ricordano il sacrificio. ‘Particolari’ evidentemente di pochissimo conto per i solerti sacerdoti della ‘pacificazione’, dai quali non ci risulta sia stata emessa alcuna esplicita ufficiale condanna di tanta soperchieria.
Argomento di fondo per rigettare l’offerta è che i superstiti combattenti della Repubblica Sociale Italiana aderenti al Raggruppamento Nazionale Combattenti e Reduci - RSI, fedeli al loro passato, non intendono partecipare all’ennesimo pateracchio messo in cantiere per individuabili motivazioni di consenso politico travestite malamente di ‘pacificazione nazionale’. Sottolineando nel contempo - e qui entra in gioco l’enunciata «pari dignità» - il più netto rifiuto (per ovvie considerazioni di carattere etico) a condividere con partigiani o gappisti qualsivoglia istituzione di riconoscimento.
Come ho già avuto occasione di affermare, una autentica pacificazione potrà avviarsi soltanto quando la Repubblica Italiana - questa Repubblica - prenderà atto, con tutte le conseguenze del caso, dei Valori politici, militari e sociali interpretati dalla RSI, al di fuori e al di sopra di ogni impensabile innaturale ammucchiata. Tutto il resto - Ordine del Tricolore compreso - appartiene alla sfera del non ricevibile, nel solco di una assoluta diversità originaria che appartiene al nostro DNA di Combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
Questa, in sintesi, la nostra posizione come Raggruppamento, senza voler entrare nel dettaglio di una proposta di Legge permeata di ambiguo e approssimativo storicismo.
Gianni Rebaudengo
Presidente Nazionale RNCR-RSI
RAGGRUPPAMENTO NAZIONALE COMBATTENTI E REDUCI R.S.I. - CONTINUITÀ IDEALE
Soltanto recentemente ho potuto prendere visione di una proposta di legge d’iniziativa di 42 deputati della maggioranza parlamentare, datata 23 giugno 2008, relativa all’istituzione dell’Ordine del Tricolore da «attribuire a coloro che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale». Comprendendovi, tra altri, «coloro che hanno fatto parte delle forze armate partigiane o gappiste … e delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica Sociale Italiana». Tutto questo - si legge nella presentazione - per «riconoscere, con animo ormai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare nella storia d’Italia». Una proposta di legge - si afferma - «coerente con la cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia».
Credo sia riduttivo limitarci a rammentare come in realtà l’evocata «cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia», venga espressa attualmente - e in ripetute occasioni - con un rinnovato e rabbioso ostracismo alle manifestazioni in ricordo dei Caduti della RSI, con annesse offese sacrileghe alle lapidi che ne ricordano il sacrificio. ‘Particolari’ evidentemente di pochissimo conto per i solerti sacerdoti della ‘pacificazione’, dai quali non ci risulta sia stata emessa alcuna esplicita ufficiale condanna di tanta soperchieria.
Argomento di fondo per rigettare l’offerta è che i superstiti combattenti della Repubblica Sociale Italiana aderenti al Raggruppamento Nazionale Combattenti e Reduci - RSI, fedeli al loro passato, non intendono partecipare all’ennesimo pateracchio messo in cantiere per individuabili motivazioni di consenso politico travestite malamente di ‘pacificazione nazionale’. Sottolineando nel contempo - e qui entra in gioco l’enunciata «pari dignità» - il più netto rifiuto (per ovvie considerazioni di carattere etico) a condividere con partigiani o gappisti qualsivoglia istituzione di riconoscimento.
Come ho già avuto occasione di affermare, una autentica pacificazione potrà avviarsi soltanto quando la Repubblica Italiana - questa Repubblica - prenderà atto, con tutte le conseguenze del caso, dei Valori politici, militari e sociali interpretati dalla RSI, al di fuori e al di sopra di ogni impensabile innaturale ammucchiata. Tutto il resto - Ordine del Tricolore compreso - appartiene alla sfera del non ricevibile, nel solco di una assoluta diversità originaria che appartiene al nostro DNA di Combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
Questa, in sintesi, la nostra posizione come Raggruppamento, senza voler entrare nel dettaglio di una proposta di Legge permeata di ambiguo e approssimativo storicismo.
Gianni Rebaudengo
Presidente Nazionale RNCR-RSI
domenica 19 aprile 2009
25 APRILE - SAN MARCO EVANGELISTA
ONORE AI FANTI DI MARINA DELLA 3° DIVISIONE “SAN MARCO”
“………………..ARMA LA PRORA MARINAIO
VESTI LA GIUBBA DI BATTAGLIA…………………”
L'EPOPEA DEI FANTI DI MARINA DELLA DIVISIONE "SAN MARCO". "QUANDO EL LEON ALSA LA COA"
Questo fu il motto della grande Unità della Repubblica Sociale Italiana che si batte contro tutti i nemici fino al 30 aprile del 1945 - Un medagliere di grande rispetto testimonia il suo impegno.
Emilio Cavaterra
Da una ribellione sentimentale marinara, dal vincolo a una fedeltà mai mancata nei secoli, e dalla rivolta contro la viltà giunta a schiantare ogni dignità della Patria, dal dolore per la rovina di tutti e tutto, nacque la 'San Marco'. L'anima della Divisione, inizialmente sorta da un gruppo di marinai delle Isole dell'Egeo, da un nucleo di Camicie Nere dei Balcani e da un Gruppo di Granatieri, era marinara e i marinai che combattevano a terra sono tutti 'San Marco'.. ".
Con queste alate parole il generale Amilcare Farina, detto "papà" dai fanti di Marina repubblicani, ha cominciato a raccontare le origini della seconda Divisione di quel complesso delle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana che fu il fiore all'occhiello del ricostituito Esercito della Repubblica mussoliniana: le così dette quattro "Grandi Unità".
Sui porti della Penisola
E' una storia tutta da disvelare, ma soprattutto da divulgare, quella della "San Marco", e ciò non soltanto per le sue peculiarità militari (è appena il caso di rilevare, purtroppo, che nella grande opinione pubblica nazionale son più noti i "marines" americani, contro cui peraltro si combatté, che non i nostri, e ciò grazie a un martellamento pubblicitario senza confronti), ma anche per il grande valore e l'autentico impegno dei nostri fanti di marina che nulla hanno da invidiare ai loro omologhi statunitensi. Un impegno, quello degli uomini della "San Marco", che si evidenziò negli aspri combattimenti impegnati sui fronti della Penisola contro le armate "alleate" che risalivano dal Sud, all'indomani del loro rientro dal periodo di addestramento in Germania, fino praticamente al 30 aprile del 1945, quando il loro comandante, considerata l'inutilità di ogni ulteriore resistenza, accettò la resa con l'onore delle armi. No, si conoscono poco o punto le gesta dei fanti di Marina italiani, specialmente di quelli della Repubblica Sociale, e dunque non si ha cognizione di quel che di eroico è stato da essi compiuto sui vari fronti nei quali furono impiegati, dalla riviera ligure alla Garfagnana e fino alla "Linea Gotica". Non staremo qui a riportare, nella sua interezza, la storia di questa Divisione che orgogliosamente ostentava nelle mostrine rosse dei suoi militari il leone veneziano che nella iconografia tradizionale è solitamente rappresentato con una zampa poggiata sulla pagina del Vangelo aperta dove campeggia la scritta in latino ben nota: "Pax tibi, Marce, Evangelista meus". E anche questa ha una tradizione di tutto rispetto: sta a ricordare, infatti, quei nostri marinai che nella prima guerra mondiale, all'indomani di Caporetto, ebbero un sacrosanto moto d'orgoglio e chiesero, subito ottenendolo, di combattere a terra lungo la linea del Piave contro gli austriaci. Ma con una differenza piuttosto significativa: quel leone di ottant'anni fa, la sua zampa la poggiava spavaldamente sul Libro chiuso, nella copertina del quale campeggiava la scritta: "Iterum rugit leo", ovvero il leone (quello di guerra e dunque con la coda alzata) ruggisce ancora.
L'elogio di Kesselring
Di lì il motto sarcasticamente espresso in puro dialetto veneziano, che ha accompagnato con il suo timbro apparentemente dissacratore i nostri fanti di Marina in tutte le loro imprese guerresche fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale: "quando el leon alsa la coa, tute le bestie le sbasa la soa". Questo, se si vuole, dà la misura del tipo psicofisico di questi soldati che per lunghi mesi si sono battuti con valore, meritando ampiamente il riconoscimento sia dal loro comandante che dal Maresciallo Kesselring, come fa fede l'ordine del giorno n°27 diramato l'8 marzo del 1945 XXIII dal Comando Divisione Marina "S. Marco" a firma del generale Farina, fino ad oggi sconosciuto, e che qui riproduciamo testualmente: "In relazione all'attività svolta in modo tangibilmente concreto dai dipendenti reparti nella lotta contro bande, il Comandante del Corpo Armata Lombardia ha inviato il seguente telegramma: 'Il Maresciallo Kesselring ha espresso il suo elogio per l'attività contro bande della Divisione 'San arco'. Si rallegra con la Divisione particolarmente per la cattura del Capitano inglese il cui interrogatorio ha fruttato preziose indicazioni per il Comando. Aggiungo il mio elogio a quello del Signor Comandante Supremo". E come postilla, "papà Farina" aveva aggiunto: "L'elogio del Maresciallo Kesselring vada a tutti gli ufficiali, sottufficiali, graduati e marò che, immedesimati del male che compiono i nostri fratelli traviati prodigano tutta la loro attività e la loro energia per stroncare l'attività ribellistica della zona. Ed è anche incitamento perseverare per conseguire sempre maggiori risultati e vendicare così i nostri compagni caduti sotto il piombo dei sicari al soldo del nemico". Avevano dimostrato, dunque, e con i fatti, di quale tempra fossero fatti e quanto positivo fosse stato l'addestramento ricevuto nel campo di Grafenwoehr, presso Norimberga, al termine del quale, il 18 luglio del 1944, Benito Mussolini tornò a visitare la terza Grande Unità per consegnare ad essa la Bandiera, "simbolo della nostra fede, del nostro ardimento".
E suggellò quella cerimonia con queste parole: "Io sono sicuro che, quando i nemici multicolori della nostra Patria sentiranno il vostro grido 'San Marco', essi si accorgeranno di avere dinanzi a sé intrepidi cuori, decisi a tutto pur di conquistare la vittoria".
Da Arenzano a Capo Berta
E lo dimostrarono quando, alla fine del mese di luglio, fecero ritorno in Italia per presidiare un nuovo schieramento in funzione antisbarco in Liguria, con i reparti attestati lungo un fronte di decine e decine di chilometri sia per estensione che per profondità, da Arenzano a Capo Berta. Ma i nostri "marines" furono costretti anche a rintuzzare gli attacchi partigiani, attuati con la tattica del "mordi e fuggi", che provocarono centinaia di vittime, favorendo anche il fenomeno delle diserzioni, le quali peraltro furono prontamente tamponate dal nuovo comandante Amilcare Farina, che aveva sostituito il generale Princivalle, con una serie di disposizioni di chiaro stile militare, grazie alle quali vennero ricompattati reparti senza che si facesse ricorso alle rappresaglie. Anzi, proprio per evidenziare, applicando l'antico motto secondo il quale "oltre la tomba non vive ira nemica", la continuità delle identità italiane in un momento che lasciava presagire "la morte della Patria", "papà Farina" volle far costruire un cimitero in quel di Altare, denominato "Croci Bianche", in cui furono tumulati i Caduti delle due parti. In quei giorni di impegno diretto sul campo, i fanti di Marina della "San Marco" presero posizione sul fronte della Garfagnana in appoggio ai reparti alpini della "Monterosa": erano i marò del battaglione "Uccelli" e del maggiore Botto, che per lunghe e aspre settimane contrastarono i reiterati tentativi dei "multicolori invasori”, peraltro superiori per numero e per armamento. Nonostante tutto, insomma, il valore dei nostri fanti di marina riuscì a sfondare il fronte tenuto dalla quinta armata angloamericana costringendola a ritirarsi fino a Lucca e dintorni. Poi arrivarono i giorni dell'ira, con il crollo delle difese germaniche e il conseguente ripiegamento dei reparti della Grande Unità verso il Nord per costituire l'ultima difesa, ma anche per salvare i complessi portuali, le industrie e le infrastrutture che avrebbero poi consentito, come in effetti fu, di avviare nel dopoguerra la ricostruzione dell'Italia.
L'ultimo ordine di Farina
E' datato 29 aprile 1945 l'ultimo ordine del giorno lanciato dal generale Amilcare Farina ai suoi marò, per riunirli nella città di Alessandria, "dove sarà proceduto alla smobilitazione personale immediata". E l'avvertimento finale: "Compiendo le operazioni con ordine e disciplina, la Divisione darà l'ultima conferma di essere stata una Unità regolare delle migliori tra quelle dell'Esercito". Ma questo stava a dimostrarlo anche il medagliere della Divisione, davvero esaltante e degno della grande tradizione militare italiana, specie di quella dei Fanti di Marina: 2 medaglie d'oro, 9 d'argento, 42 di bronzo, 98 croci di guerra al V.M., 83 encomi solenni, 20 promozioni M.G.; inoltre, numerose ricompense al V.M. germaniche consistenti in una croce di ferro di prima classe, 13 di seconda classe, 7 al merito di guerra con spade di 2a classe e un distintivo d'onore. Il Leone di San Marco ha così dimostrato di aver ruggito bene.
“………………..ARMA LA PRORA MARINAIO
VESTI LA GIUBBA DI BATTAGLIA…………………”
L'EPOPEA DEI FANTI DI MARINA DELLA DIVISIONE "SAN MARCO". "QUANDO EL LEON ALSA LA COA"
Questo fu il motto della grande Unità della Repubblica Sociale Italiana che si batte contro tutti i nemici fino al 30 aprile del 1945 - Un medagliere di grande rispetto testimonia il suo impegno.
Emilio Cavaterra
Da una ribellione sentimentale marinara, dal vincolo a una fedeltà mai mancata nei secoli, e dalla rivolta contro la viltà giunta a schiantare ogni dignità della Patria, dal dolore per la rovina di tutti e tutto, nacque la 'San Marco'. L'anima della Divisione, inizialmente sorta da un gruppo di marinai delle Isole dell'Egeo, da un nucleo di Camicie Nere dei Balcani e da un Gruppo di Granatieri, era marinara e i marinai che combattevano a terra sono tutti 'San Marco'.. ".
Con queste alate parole il generale Amilcare Farina, detto "papà" dai fanti di Marina repubblicani, ha cominciato a raccontare le origini della seconda Divisione di quel complesso delle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana che fu il fiore all'occhiello del ricostituito Esercito della Repubblica mussoliniana: le così dette quattro "Grandi Unità".
Sui porti della Penisola
E' una storia tutta da disvelare, ma soprattutto da divulgare, quella della "San Marco", e ciò non soltanto per le sue peculiarità militari (è appena il caso di rilevare, purtroppo, che nella grande opinione pubblica nazionale son più noti i "marines" americani, contro cui peraltro si combatté, che non i nostri, e ciò grazie a un martellamento pubblicitario senza confronti), ma anche per il grande valore e l'autentico impegno dei nostri fanti di marina che nulla hanno da invidiare ai loro omologhi statunitensi. Un impegno, quello degli uomini della "San Marco", che si evidenziò negli aspri combattimenti impegnati sui fronti della Penisola contro le armate "alleate" che risalivano dal Sud, all'indomani del loro rientro dal periodo di addestramento in Germania, fino praticamente al 30 aprile del 1945, quando il loro comandante, considerata l'inutilità di ogni ulteriore resistenza, accettò la resa con l'onore delle armi. No, si conoscono poco o punto le gesta dei fanti di Marina italiani, specialmente di quelli della Repubblica Sociale, e dunque non si ha cognizione di quel che di eroico è stato da essi compiuto sui vari fronti nei quali furono impiegati, dalla riviera ligure alla Garfagnana e fino alla "Linea Gotica". Non staremo qui a riportare, nella sua interezza, la storia di questa Divisione che orgogliosamente ostentava nelle mostrine rosse dei suoi militari il leone veneziano che nella iconografia tradizionale è solitamente rappresentato con una zampa poggiata sulla pagina del Vangelo aperta dove campeggia la scritta in latino ben nota: "Pax tibi, Marce, Evangelista meus". E anche questa ha una tradizione di tutto rispetto: sta a ricordare, infatti, quei nostri marinai che nella prima guerra mondiale, all'indomani di Caporetto, ebbero un sacrosanto moto d'orgoglio e chiesero, subito ottenendolo, di combattere a terra lungo la linea del Piave contro gli austriaci. Ma con una differenza piuttosto significativa: quel leone di ottant'anni fa, la sua zampa la poggiava spavaldamente sul Libro chiuso, nella copertina del quale campeggiava la scritta: "Iterum rugit leo", ovvero il leone (quello di guerra e dunque con la coda alzata) ruggisce ancora.
L'elogio di Kesselring
Di lì il motto sarcasticamente espresso in puro dialetto veneziano, che ha accompagnato con il suo timbro apparentemente dissacratore i nostri fanti di Marina in tutte le loro imprese guerresche fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale: "quando el leon alsa la coa, tute le bestie le sbasa la soa". Questo, se si vuole, dà la misura del tipo psicofisico di questi soldati che per lunghi mesi si sono battuti con valore, meritando ampiamente il riconoscimento sia dal loro comandante che dal Maresciallo Kesselring, come fa fede l'ordine del giorno n°27 diramato l'8 marzo del 1945 XXIII dal Comando Divisione Marina "S. Marco" a firma del generale Farina, fino ad oggi sconosciuto, e che qui riproduciamo testualmente: "In relazione all'attività svolta in modo tangibilmente concreto dai dipendenti reparti nella lotta contro bande, il Comandante del Corpo Armata Lombardia ha inviato il seguente telegramma: 'Il Maresciallo Kesselring ha espresso il suo elogio per l'attività contro bande della Divisione 'San arco'. Si rallegra con la Divisione particolarmente per la cattura del Capitano inglese il cui interrogatorio ha fruttato preziose indicazioni per il Comando. Aggiungo il mio elogio a quello del Signor Comandante Supremo". E come postilla, "papà Farina" aveva aggiunto: "L'elogio del Maresciallo Kesselring vada a tutti gli ufficiali, sottufficiali, graduati e marò che, immedesimati del male che compiono i nostri fratelli traviati prodigano tutta la loro attività e la loro energia per stroncare l'attività ribellistica della zona. Ed è anche incitamento perseverare per conseguire sempre maggiori risultati e vendicare così i nostri compagni caduti sotto il piombo dei sicari al soldo del nemico". Avevano dimostrato, dunque, e con i fatti, di quale tempra fossero fatti e quanto positivo fosse stato l'addestramento ricevuto nel campo di Grafenwoehr, presso Norimberga, al termine del quale, il 18 luglio del 1944, Benito Mussolini tornò a visitare la terza Grande Unità per consegnare ad essa la Bandiera, "simbolo della nostra fede, del nostro ardimento".
E suggellò quella cerimonia con queste parole: "Io sono sicuro che, quando i nemici multicolori della nostra Patria sentiranno il vostro grido 'San Marco', essi si accorgeranno di avere dinanzi a sé intrepidi cuori, decisi a tutto pur di conquistare la vittoria".
Da Arenzano a Capo Berta
E lo dimostrarono quando, alla fine del mese di luglio, fecero ritorno in Italia per presidiare un nuovo schieramento in funzione antisbarco in Liguria, con i reparti attestati lungo un fronte di decine e decine di chilometri sia per estensione che per profondità, da Arenzano a Capo Berta. Ma i nostri "marines" furono costretti anche a rintuzzare gli attacchi partigiani, attuati con la tattica del "mordi e fuggi", che provocarono centinaia di vittime, favorendo anche il fenomeno delle diserzioni, le quali peraltro furono prontamente tamponate dal nuovo comandante Amilcare Farina, che aveva sostituito il generale Princivalle, con una serie di disposizioni di chiaro stile militare, grazie alle quali vennero ricompattati reparti senza che si facesse ricorso alle rappresaglie. Anzi, proprio per evidenziare, applicando l'antico motto secondo il quale "oltre la tomba non vive ira nemica", la continuità delle identità italiane in un momento che lasciava presagire "la morte della Patria", "papà Farina" volle far costruire un cimitero in quel di Altare, denominato "Croci Bianche", in cui furono tumulati i Caduti delle due parti. In quei giorni di impegno diretto sul campo, i fanti di Marina della "San Marco" presero posizione sul fronte della Garfagnana in appoggio ai reparti alpini della "Monterosa": erano i marò del battaglione "Uccelli" e del maggiore Botto, che per lunghe e aspre settimane contrastarono i reiterati tentativi dei "multicolori invasori”, peraltro superiori per numero e per armamento. Nonostante tutto, insomma, il valore dei nostri fanti di marina riuscì a sfondare il fronte tenuto dalla quinta armata angloamericana costringendola a ritirarsi fino a Lucca e dintorni. Poi arrivarono i giorni dell'ira, con il crollo delle difese germaniche e il conseguente ripiegamento dei reparti della Grande Unità verso il Nord per costituire l'ultima difesa, ma anche per salvare i complessi portuali, le industrie e le infrastrutture che avrebbero poi consentito, come in effetti fu, di avviare nel dopoguerra la ricostruzione dell'Italia.
L'ultimo ordine di Farina
E' datato 29 aprile 1945 l'ultimo ordine del giorno lanciato dal generale Amilcare Farina ai suoi marò, per riunirli nella città di Alessandria, "dove sarà proceduto alla smobilitazione personale immediata". E l'avvertimento finale: "Compiendo le operazioni con ordine e disciplina, la Divisione darà l'ultima conferma di essere stata una Unità regolare delle migliori tra quelle dell'Esercito". Ma questo stava a dimostrarlo anche il medagliere della Divisione, davvero esaltante e degno della grande tradizione militare italiana, specie di quella dei Fanti di Marina: 2 medaglie d'oro, 9 d'argento, 42 di bronzo, 98 croci di guerra al V.M., 83 encomi solenni, 20 promozioni M.G.; inoltre, numerose ricompense al V.M. germaniche consistenti in una croce di ferro di prima classe, 13 di seconda classe, 7 al merito di guerra con spade di 2a classe e un distintivo d'onore. Il Leone di San Marco ha così dimostrato di aver ruggito bene.
martedì 14 aprile 2009
DICIAMO LA VERITA’
Sulle circostanze, sulle modalità e sulle responsabilità che portarono all’uccisione di Benito Mussolini sono stati scritti nel tempo numerosissimi libri e articoli anche sulla base di testimonianze dirette ed indirette la cui attendibilità ha creato a sua volta ulteriori dubbi e perplessità. Si avvicinano i giorni ricorrenti delle “radiose giornate” ed anche quest’anno non mancano ulteriori notizie sulla base di presunta documentazione reperita sia negli Stati Uniti che in Inghilterra o su tardive testimonianze di personaggi appartenenti ai vari servizi che circolavano in Italia in quel periodo. Riteniamo comunque che sia giunto il momento di mettere alcuni punti fermi almeno per quanto riguarda le responsabilità. E’ ormai innegabile che i comunisti abbiano svolto il ruolo dei “macellai”, un ruolo che compete loro da sempre, ma è altrettanto innegabile che in molti vollero l’eliminazione del Duce del Fascismo e Capo della Repubblica Sociale Italiana.
La vollero i preti ed i massoni, i monarchici di tutte le casate, gli inglesi e gli americani, gli industriali del capitalismo italiano, i pescecani e gli usurai di tutte le razze e di tutte le latitudini, gli Stati Maggiori delle tre armi ed i generaloni da salotto e, non ultima, la volle anche la maggioranza degli italiani nel momento stesso in cui rinunciò ad essere un popolo libero. Anzi, la maggioranza degli italiani visse l’eliminazione di Mussolini e il lavacro di sangue che ne seguì, come un rito purificatorio ed assolutorio della propria coscienza e come il necessario sacrificio umano sull’altare degli dèi della vincente plutocrazia.
Una cosa è certa: l’assassinio di Benito Mussolini, al di là della cronaca, ha ormai assunto sul piano storico, il ruolo emblematico e rappresentativo del genocidio di un’intera generazione di italiani, uomini e donne, giovani ed anziani che vollero, fortissimamente vollero, ribellarsi al tradimento e alla ignominiosa resa senza condizioni. A noi sopravvissuti della R.S.I. la cronaca non c’interessa più; la Storia ci sta dando ragione e siamo sempre più consapevoli che il sacrificio dei nostri Camerati non è stato vano e la nostra orgogliosa resistenza è sostenuta dalla fede in una prossima rinascita della Patria nostra. Il nemico è sempre lo stesso e attualmente il nostro grido di battaglia, nel nome di ROMA Immortale, è:
NO ALL’EUROPA DEI MERCANTI, VIA L’ITALIA DALLA NATO, VIA LA NATO DALL’ITALIA !
Stelvio Dal Piaz
La vollero i preti ed i massoni, i monarchici di tutte le casate, gli inglesi e gli americani, gli industriali del capitalismo italiano, i pescecani e gli usurai di tutte le razze e di tutte le latitudini, gli Stati Maggiori delle tre armi ed i generaloni da salotto e, non ultima, la volle anche la maggioranza degli italiani nel momento stesso in cui rinunciò ad essere un popolo libero. Anzi, la maggioranza degli italiani visse l’eliminazione di Mussolini e il lavacro di sangue che ne seguì, come un rito purificatorio ed assolutorio della propria coscienza e come il necessario sacrificio umano sull’altare degli dèi della vincente plutocrazia.
Una cosa è certa: l’assassinio di Benito Mussolini, al di là della cronaca, ha ormai assunto sul piano storico, il ruolo emblematico e rappresentativo del genocidio di un’intera generazione di italiani, uomini e donne, giovani ed anziani che vollero, fortissimamente vollero, ribellarsi al tradimento e alla ignominiosa resa senza condizioni. A noi sopravvissuti della R.S.I. la cronaca non c’interessa più; la Storia ci sta dando ragione e siamo sempre più consapevoli che il sacrificio dei nostri Camerati non è stato vano e la nostra orgogliosa resistenza è sostenuta dalla fede in una prossima rinascita della Patria nostra. Il nemico è sempre lo stesso e attualmente il nostro grido di battaglia, nel nome di ROMA Immortale, è:
NO ALL’EUROPA DEI MERCANTI, VIA L’ITALIA DALLA NATO, VIA LA NATO DALL’ITALIA !
Stelvio Dal Piaz
giovedì 9 aprile 2009
Dopo giugno molto si dovrà fare
Lasciando per un attimo la tragedia dell'Abruzzo (per la quale continuiamo ad appellarci alla massima sollecita solidarietà verso la Comunità vittima del destino), ci si avvicina sempre più velocemente allo splash-down delle elezioni europee di giugno p.v.
Dai sondaggi sempre più frequenti - ancorché non definite le candidature nominali - sulla base ormai di una certa chiarezza di schieramenti sembra emergere ormai un dato consolidato che andrà valutato a fondo se confermato poi nell'ufficialità dei numeri che usciranno realmente dalle urne.
Gli italiani - coloro almeno che tenderanno ancora per l'ennesima volta a dare una spropositata fiducia alla Casta che meriterebbe solo sonore legnate - sembrano orientati a marcare come dato assodato la propensione ad un bipartitismo imperfetto con il Popolo della libertà ancorato alla Lega non più propriamente e solo Nord (visto che già alle politiche ha sfondato anche verso il centro-sud), ed il Partito Democratico che trova un puntello importante nell' Italia dei Valori al centro-sud (ma con propensione ad acquisire consenso anche al nord).
Alle cosiddette "ali" ormai desuete e sfilacciate (pur provando tutte le alleanze "possibili".........e pure "impossibili") rimarranno le briciole per una serie di motivi tutti ascrivibili alla sclerotizzazione della loro classe dirigente (indipendentemente dall'età anagrafica perché é il cuore ed il cervello che devono essere vivi), all'incapacità di superare la fazione per il bene della Nazione, all'insipienza di dati culturali e storici non metabolizzati ma mal digeriti in luoghi comuni di propaganda post bellica.
Ecco perché siamo convinti della necessità assoluta di due cose:
1) assoluta astensione a partecipare al voto per l'elezione del parlamento eurocratico ed invitando sempre più italiani a disconoscere la valenza della Casta, mentre é necessario inserirsi e portare il proprio contributo nelle realtà amministrative puntando sulle persone locali che possono rappresentarci indipendentemente dalla collocazione.
2) muoversi subito dopo il 7 giugno a rafforzare l'idea di aggregazione nuova trasversale e fortemente caratterizzata dal pensiero socialista nazionale che é il Movimento Di Azione Popolare e che deve essere tramutata in una convincente capillare organizzazione solida territorialmente da rendere efficiente e pronta per muoversi attivamente nella politica di ogni singola comunità tutti i giorni e capace di essere pronta ad alzare le proprie insegne nello scontro politico legislativo alla scadenza dell'attuale parlamento.
Non é, non sarà una passeggiata, ma noi le cose comode sappiamo disprezzarle.
Dai sondaggi sempre più frequenti - ancorché non definite le candidature nominali - sulla base ormai di una certa chiarezza di schieramenti sembra emergere ormai un dato consolidato che andrà valutato a fondo se confermato poi nell'ufficialità dei numeri che usciranno realmente dalle urne.
Gli italiani - coloro almeno che tenderanno ancora per l'ennesima volta a dare una spropositata fiducia alla Casta che meriterebbe solo sonore legnate - sembrano orientati a marcare come dato assodato la propensione ad un bipartitismo imperfetto con il Popolo della libertà ancorato alla Lega non più propriamente e solo Nord (visto che già alle politiche ha sfondato anche verso il centro-sud), ed il Partito Democratico che trova un puntello importante nell' Italia dei Valori al centro-sud (ma con propensione ad acquisire consenso anche al nord).
Alle cosiddette "ali" ormai desuete e sfilacciate (pur provando tutte le alleanze "possibili".........e pure "impossibili") rimarranno le briciole per una serie di motivi tutti ascrivibili alla sclerotizzazione della loro classe dirigente (indipendentemente dall'età anagrafica perché é il cuore ed il cervello che devono essere vivi), all'incapacità di superare la fazione per il bene della Nazione, all'insipienza di dati culturali e storici non metabolizzati ma mal digeriti in luoghi comuni di propaganda post bellica.
Ecco perché siamo convinti della necessità assoluta di due cose:
1) assoluta astensione a partecipare al voto per l'elezione del parlamento eurocratico ed invitando sempre più italiani a disconoscere la valenza della Casta, mentre é necessario inserirsi e portare il proprio contributo nelle realtà amministrative puntando sulle persone locali che possono rappresentarci indipendentemente dalla collocazione.
2) muoversi subito dopo il 7 giugno a rafforzare l'idea di aggregazione nuova trasversale e fortemente caratterizzata dal pensiero socialista nazionale che é il Movimento Di Azione Popolare e che deve essere tramutata in una convincente capillare organizzazione solida territorialmente da rendere efficiente e pronta per muoversi attivamente nella politica di ogni singola comunità tutti i giorni e capace di essere pronta ad alzare le proprie insegne nello scontro politico legislativo alla scadenza dell'attuale parlamento.
Non é, non sarà una passeggiata, ma noi le cose comode sappiamo disprezzarle.
lunedì 6 aprile 2009
Emergenza Terremoto
Di fronte alle notizie provenienti dal centro Italia non possiamo che indicare a tutti coloro che ci leggono la strada della massima solidarietà nei confronti della Comunità di Abruzzo.
sabato 4 aprile 2009
ACQUA , ARIA, TERRA E FUOCO : LA TEORIA DELLA DECRESCITA
La teoria della DECRESCITA ECONOMICA e' il nuovo vangelo per tutti coloro che sognano un mondo in cui uguaglianza, sostenibilita', coesione e pace sociale siano il viatico che le attuali generazioni si accingono a lasciare a quelel future.
Veniamo da un secolo in cui il PIL e' stata la stella polare per tutte le civilta' industrializzate.
La crescita economica, il riempire il mondo di COSE e' stato visto come l'unico modo per ESSERE e cio' ha portato allo sfruttamento dissenntato del pianeta , delle sue risorse naturalei, delle sue riserve vitali.
LA teoria della DECRESCITA si fonda su 4 punti essenziali :
Il funzionamento del sistema economico attuale dipende essenzialmente da risorse non rinnovabili. Così com'è, non è quindi perpetuabile. I sostenitori della Decrescita partono dall'idea che le riserve di materie prime sono limitate, particolarmente per quanto riguarda le fonti di energia, e ne deducono che questa limitatezza contraddice il principio della crescita illimitata del PIL, e che, anzi, la crescita così praticata genera dissipazione di energia e crescente dispersione di materia. Alcuni sostenitori della teoria (in particolare Vladimir Vernadskij), mutuando dalla seconda legge della termodinamica il concetto di entropia, ritengono che la crescita del PIL comporti una diminuzione dell'energia utilizzabile disponibile, e della complessità degli ecosistemi presenti sulla Terra, assimilano la specie umana ad una forza geologica entropizzante.
Non v'è alcuna prova della possibilità di separare la crescita economica dalla crescita del suo impatto ecologico.
La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni e servizi: esistono altre forme di ricchezza sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni, e così via. La crescita della ricchezza materiale, misurata esclusivamente secondo indicatori monetari può avvenire a danno di queste altre forme di ricchezza.
Le società attuali, drogate da consumi materiali considerati futili (telefoni cellulari, viaggi aerei, uso costante e non selettivo dell'auto ecc.) non percepiscono, in generale, lo scadimento di ricchezze più essenziali come la qualità della vita, e sottovalutano le reazioni degli esclusi, come la violenza nella periferie o il risentimento contro gli occidentali nei paesi esclusi dallo (o limitati nello) sviluppo economico di tipo occidentale.
La teoria della decrescita sostenibile non implica evidentemente il perseguimento della decrescita in sé e per sé: si pone invece come mezzo per la ricerca di una qualità di vita migliore, sostenendo che il PIL consente solo una misura parziale della ricchezza (un incidente d'auto, ad esempio, è un fattore di crescita del PIL) e che, se si intende ristabilire tutta la varietà della ricchezza possibile, allora è urgente smettere di utilizzare il PIL come unica bussola.
In base a questi princìpi , sostenuti da LAtouche e in Italia da PAllanti, Fini e Vitari, si puo' dunque pensare di puntare ad un sistema economico che non sia perennemente scagliato a tutta forza nel perseguire LA CRESCITA a danno stesso di coloro che ne dovrebbero beneficiare.
In buona sostanza e' paradossale che il mondo sia oggi drogato da continui bisogni tarati ad arte per innescare nuovi consumi, su un modello di vita in cui il dominio assolutistico della COSA sulle priorita' dell'UOMO sia pacificamente accettato da tutti.
Il modello decrescente punta a ribaltare compeltamente il modello economico attuale ponendosi come fine assoluto la dignita' dell'uomo nel suo ambiente, nel rispetto della natura e delle risorse.
Se ognuno di noi si fermasse un attimo e riflettesse su quanti sono gli acquisti fatti nell'ultimo anno che hanno significato il soddisfacimento di una necessita' primaria e quanti, invece, sono state le cose acquistate per soddisfare bisogni non primari ma "indotti", ci troveremmo TUTTI con la coscienza "sporca" perche' il bilancio personale indotto dal sistema turbocapitalista sarebbe di gran lunga spostato verso il consumo improprio.
La ricetta del modello decrescente si basa sulla riscoperta di una ETICA DEL CONSUMO, una etica del bisogno con il fine stringente di voler ricondurre l'umanita' sulla via di un vissuto piu' inimamente legato alla terra, alle proprie radici antropologiche.
L'uomo come ospite di questo pianeta e non come invasore disintressato.
In questo modello di sviluppo - anzi di decrescita- cio' che viene assunto come essenziale e' che il soddisfacimento dei bisogni primari deve essere un imperativo categorico per i paesi ricchi verso quelli poveri, come anche per i ceti socialmente piu' economicamente agiati verso le categorie piu' deboli.
Il concetto della socializzazione ecco riprende forma e vigore, mostrando il suo lato piu' affascinante ed eticamente rilevante.
C'e' nella componente socializzatrice una via morale che indica nella giustizia e nel rispetto di tutto cio' che ci circonda l'unica salvezza per il genere umano.
Noi abbiamo ben presente il paradosso di JEVONS
-In economia, il Paradosso di Jevons è un'osservazione di William Stanley Jevons che affermò che poiché i miglioramenti tecnologici aumentano l'efficienza con cui una risorsa è usata, il consumo totale di quella risorsa può aumentare, piuttosto che diminuire.-
e in base ad esso riteniamo che , applicandolo al CONCETTO UOMO: l'aumentata efficienza con cui l'UOMO viene regolarmente sfruttato dal sistema economico del PIL , portera' ad un suo sempre maggiore depauperamento simbolico e morale sino all'annichilimento e alla schiavitu'.
Siamo in trincea per opporci a tutto questo ...aspettiamo rinforzi !
Veniamo da un secolo in cui il PIL e' stata la stella polare per tutte le civilta' industrializzate.
La crescita economica, il riempire il mondo di COSE e' stato visto come l'unico modo per ESSERE e cio' ha portato allo sfruttamento dissenntato del pianeta , delle sue risorse naturalei, delle sue riserve vitali.
LA teoria della DECRESCITA si fonda su 4 punti essenziali :
Il funzionamento del sistema economico attuale dipende essenzialmente da risorse non rinnovabili. Così com'è, non è quindi perpetuabile. I sostenitori della Decrescita partono dall'idea che le riserve di materie prime sono limitate, particolarmente per quanto riguarda le fonti di energia, e ne deducono che questa limitatezza contraddice il principio della crescita illimitata del PIL, e che, anzi, la crescita così praticata genera dissipazione di energia e crescente dispersione di materia. Alcuni sostenitori della teoria (in particolare Vladimir Vernadskij), mutuando dalla seconda legge della termodinamica il concetto di entropia, ritengono che la crescita del PIL comporti una diminuzione dell'energia utilizzabile disponibile, e della complessità degli ecosistemi presenti sulla Terra, assimilano la specie umana ad una forza geologica entropizzante.
Non v'è alcuna prova della possibilità di separare la crescita economica dalla crescita del suo impatto ecologico.
La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni e servizi: esistono altre forme di ricchezza sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni, e così via. La crescita della ricchezza materiale, misurata esclusivamente secondo indicatori monetari può avvenire a danno di queste altre forme di ricchezza.
Le società attuali, drogate da consumi materiali considerati futili (telefoni cellulari, viaggi aerei, uso costante e non selettivo dell'auto ecc.) non percepiscono, in generale, lo scadimento di ricchezze più essenziali come la qualità della vita, e sottovalutano le reazioni degli esclusi, come la violenza nella periferie o il risentimento contro gli occidentali nei paesi esclusi dallo (o limitati nello) sviluppo economico di tipo occidentale.
La teoria della decrescita sostenibile non implica evidentemente il perseguimento della decrescita in sé e per sé: si pone invece come mezzo per la ricerca di una qualità di vita migliore, sostenendo che il PIL consente solo una misura parziale della ricchezza (un incidente d'auto, ad esempio, è un fattore di crescita del PIL) e che, se si intende ristabilire tutta la varietà della ricchezza possibile, allora è urgente smettere di utilizzare il PIL come unica bussola.
In base a questi princìpi , sostenuti da LAtouche e in Italia da PAllanti, Fini e Vitari, si puo' dunque pensare di puntare ad un sistema economico che non sia perennemente scagliato a tutta forza nel perseguire LA CRESCITA a danno stesso di coloro che ne dovrebbero beneficiare.
In buona sostanza e' paradossale che il mondo sia oggi drogato da continui bisogni tarati ad arte per innescare nuovi consumi, su un modello di vita in cui il dominio assolutistico della COSA sulle priorita' dell'UOMO sia pacificamente accettato da tutti.
Il modello decrescente punta a ribaltare compeltamente il modello economico attuale ponendosi come fine assoluto la dignita' dell'uomo nel suo ambiente, nel rispetto della natura e delle risorse.
Se ognuno di noi si fermasse un attimo e riflettesse su quanti sono gli acquisti fatti nell'ultimo anno che hanno significato il soddisfacimento di una necessita' primaria e quanti, invece, sono state le cose acquistate per soddisfare bisogni non primari ma "indotti", ci troveremmo TUTTI con la coscienza "sporca" perche' il bilancio personale indotto dal sistema turbocapitalista sarebbe di gran lunga spostato verso il consumo improprio.
La ricetta del modello decrescente si basa sulla riscoperta di una ETICA DEL CONSUMO, una etica del bisogno con il fine stringente di voler ricondurre l'umanita' sulla via di un vissuto piu' inimamente legato alla terra, alle proprie radici antropologiche.
L'uomo come ospite di questo pianeta e non come invasore disintressato.
In questo modello di sviluppo - anzi di decrescita- cio' che viene assunto come essenziale e' che il soddisfacimento dei bisogni primari deve essere un imperativo categorico per i paesi ricchi verso quelli poveri, come anche per i ceti socialmente piu' economicamente agiati verso le categorie piu' deboli.
Il concetto della socializzazione ecco riprende forma e vigore, mostrando il suo lato piu' affascinante ed eticamente rilevante.
C'e' nella componente socializzatrice una via morale che indica nella giustizia e nel rispetto di tutto cio' che ci circonda l'unica salvezza per il genere umano.
Noi abbiamo ben presente il paradosso di JEVONS
-In economia, il Paradosso di Jevons è un'osservazione di William Stanley Jevons che affermò che poiché i miglioramenti tecnologici aumentano l'efficienza con cui una risorsa è usata, il consumo totale di quella risorsa può aumentare, piuttosto che diminuire.-
e in base ad esso riteniamo che , applicandolo al CONCETTO UOMO: l'aumentata efficienza con cui l'UOMO viene regolarmente sfruttato dal sistema economico del PIL , portera' ad un suo sempre maggiore depauperamento simbolico e morale sino all'annichilimento e alla schiavitu'.
Siamo in trincea per opporci a tutto questo ...aspettiamo rinforzi !
mercoledì 1 aprile 2009
PANE E LAVORO, RIPRENDIAMOCI IL MONDO !
I lavoratori di tutta Europa stanno dando luogo a "impensabili" - sino a ieri- forme di protesta e di tutela del loro diritto ad una vita dignitosa.
Il "sequestro" di dirigenti delle aziende francesi, la caccia al manager e al miliardario che annuncia dal suo palazzo dorato di voler tagliare posti di lavoro per salvaguardare il suo status sociale, sono quei sintomi di rivolta sociale che noi tutti, da decenni, stavamo aspettando.
Ecco prendere forma LA RIVOLTA dell' uomo contro LA COSA e noi sappiamo, abbiamo sempre saputo da quale parte stare.
La dignita' dell'essere umano e' il bene primario ed irrinunciabile per ognuno di noi e' il sale della nostra lotta politica e sociale.
Un sistema sociale "morale" e' il nostro fine, senza guardare in faccia a nessuno, ma con lo scopo di riprenderci TUTTO cio' che e' nostro.
Ma cosa e' nostro?
LA vita, l'aria, l'acqua, la luce del sole, il sorriso di un bimbo, la serenita' di un anziano, le speranze di un giovane sono tutto cio' che CI APPARTIENE e che di cui siamo stati defraudati.
Un furto immorale, subdolo, lento e silenzioso, armato di falsi bisogni, di pubblicita' martellanti, di informazione asservita, di modelli sociali ed umani creati ad arte per renderci schiavi.
Paradossalmente anche il manager ed il miliardario sono meschine pedine di un gioco assai piu' grande di loro.
Essi sono la manovalanza di un progetto di schiavitu' mondiale i cui mandanti restano nell'ombra di un sodalizio che ha nella sua finalita' il controllo totale di ognno di noi.
Siamo giunti in questi anni di PSEUDOBENESSERE CAPITALISTA, a rasentare una nuova forma di schiavitu' morale, sociale, comportamentale.
Le nostre reazioni umane sono state adulterate, filtrate, conculcate e cio' che 10 ani fa ci sembrava intollerabile siamo giunti a tollerarlo a "CAPIRLO" , a giustificarlo in nome di un moloch apparentemente inanimato ma assolutamente sanguinario.
Ci scivolano addosso pulizie etniche, guerre atroci, poverta', malattia, crimini efferati....la nostra scorza e' stata resa dura, il nostro livello di sopportazione e' stato portato all'infinito come in un mostruoso video gioco.
Oggi le crepe di questo mostro iniziano a vedersi e noi dobbiamo infiltrarci in esse, con lucida furia devastatrice.
Dobbiamo propendere alla difesa di noi stessi come soggetti unici ed irripetibili in un "sistema mondo" che VOGLIAMO tornare a fare nostro e a manipolare per ESSERE e non per AVERE.
Distruggiamo le carte di credito, attacchiamo uno ad uno i simboli del capitalismo malato e schiavista, mettiamo in ginocchio il sistema con azioni di disobbedienza mirata e feroce.
Alziamo il culo dai polverosi divani, prendiamo a martellate la playstation e il gioco virtuale che ormai governa i nostri sentimenti, i nostri cuori, i nostri affetti, depuriamo la nostra vita da tutto l' IRRINUNCIABILE SUPERFLUO che ormai la inquina e la rende malata.
Torniamo ad essere uomini e donne LIBERI E PADRONI di noi stessi.
A Londra i nostri fratelli NO GLOBAL saranno sulle barricate e noi saremo con loro, il nostro cuore battera' forte fino ad infrangere le vetrate delle banche, sino ad incendiare le cattedrali del capitalismo.
Noi non vogliamo una medicina per curare questo mostro: NOI VOGLIAMO UN VELENO PER UCCIDERLO !
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